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Protezionismo nell’UE e Localizzazione della Supply Chain: Analisi del passaggio da Reti Globali a Regionali

26/04/2025


Rallentamento della globalizzazione e politiche protezionistiche

La globalizzazione, un tempo celebrata come pilastro del progresso economico, sta ora subendo un marcato rallentamento, con la Banca Mondiale che segnala una flessione dei fattori che in passato hanno sostenuto la crescita globale. Questo cambiamento si accompagna a un aumento significativo delle politiche protezionistiche, poiché le nazioni adottano sempre più barriere commerciali e agli investimenti. In particolare, il numero di restrizioni commerciali è passato da meno di 1.000 nel 2019 a quasi 3.000 nel 2022, una tendenza alimentata dal crescente scetticismo verso i benefici percepiti della globalizzazione.
Un esempio rilevante è rappresentato dall’approccio aggressivo dell’amministrazione Trump nei confronti delle importazioni negli Stati Uniti, che evidenzia l’avversione più ampia della sua politica alla liberalizzazione del commercio globale. Tra le azioni più incisive vi è stata l’imposizione di tariffe generalizzate, il 25% su tutte le importazioni di acciaio e alluminio, con l’obiettivo di proteggere le industrie nazionali dalla concorrenza estera. In risposta, l’Unione Europea ha annunciato contromisure, impegnandosi a introdurre nuovi dazi su una serie di prodotti industriali e agricoli statunitensi per un valore di circa 26 miliardi di euro (28 miliardi di dollari). Tali misure si sono estese oltre i metalli, includendo anche beni come tessili, elettrodomestici e prodotti alimentari. Finora, gli Stati membri dell'UE hanno approvato dazi di ritorsione su esportazioni statunitensi per un valore di 20,9 miliardi di euro (23 miliardi di dollari), anche se la Commissione Europea non ha ancora reso noto l’elenco completo degli articoli interessati. Ha invece confermato che le contro-tariffe saranno applicate in fasi successive, con diverse tranche in vigore dal 15 Aprile, 15 Maggio e 1 Dicembre.

Queste azioni non solo hanno rallentato il movimento transfrontaliero di beni e capitali, ma hanno anche rafforzato l'adozione di politiche restrittive, aumentando il rischio di una frammentazione dell’economia globale in blocchi rivali e di un sistema di pagamenti internazionali disarticolato.

Il protezionismo, tuttavia, non è un fenomeno nuovo; la sua rinascita risale alla crisi finanziaria del 2008, quando le economie avanzate iniziarono a introdurre misure “populiste” per favorire l'approvvigionamento interno e proteggere l'industria e l'occupazione locali. Negli ultimi anni, però, questa tendenza ha subito un’accelerazione significativa, soprattutto in Europa e nelle nazioni occidentali, con gli analisti che attribuiscono il cambiamento a una serie di crisi sovrapposte: La pandemia, il conflitto in Ucraina, le interruzioni della supply chain e la dipendenza eccessiva da fornitori esteri per materiali strategici di difesa. Questi eventi hanno messo in luce i rischi legati all’interdipendenza economica globale, esponendo le vulnerabilità dei modelli di commercio transfrontaliero.

 

 


Una nuova visione protezionistica nell’UE

Anche l’Unione Europea ha significativamente ridotto il suo tradizionale sostegno a un sistema commerciale globale liberalizzato, avviando un cambio strategico rispetto all’enfasi posta sulla liberalizzazione degli scambi. Questa svolta è evidente nel quadro regolatorio sempre più rigido adottato dal blocco, che impone requisiti di conformità più stringenti sia alle aziende europee che a quelle straniere operanti nel suo territorio. Tali misure riflettono una netta inclinazione verso il protezionismo, come dimostrano cambiamenti politici come l’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato, che consentono agli Stati membri di sovvenzionare le industrie nazionali, suscitando critiche per la distorsione della concorrenza sia all’interno del Mercato Unico che a livello globale.

Sostenitori di queste riforme, come l’ex Commissario europeo per il Mercato Interno Thierry Breton, affermano che esse rispondono a sfide urgenti, quali la fragilità della supply chain e le tensioni geopolitiche, evidenziando anche lacune nelle strategie di altre regioni. Ad esempio, la pandemia di COVID-19 ha evidenziato la necessità di una maggiore resilienza, spingendo istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale a promuovere reti commerciali più localizzate per ridurre la dipendenza da fornitori esterni. Questa ricalibrazione mette in luce il difficile equilibrio dell’UE: garantire la sicurezza economica senza compromettere l'integrazione dei mercati globali.

 


Protezionismo strategico: impatti sulle supply chain UE

Cosa implica tutto questo per le supply chain dell’UE, storicamente dipendente da approvvigionamenti esteri, ad esempio dall’Asia? Da un lato, il protezionismo strategico rappresenta un’opportunità per ripensare le pratiche di sourcing consolidate. Promuovendo la produzione regionale, offre una strada per ridurre la dipendenza da fornitori lontani e aumentare la resilienza agli shock globali. Un esempio concreto è l’European Chips Act, che destina 43 miliardi di euro per rafforzare l’autonomia del blocco nel settore dei semiconduttori. Questa iniziativa affronta direttamente le vulnerabilità emerse durante la pandemia e l’instabilità geopolitica. Attraverso la creazione di hub manifatturieri locali, l’UE può beneficiare di tempi di consegna più brevi, un migliore controllo della qualità e una maggiore trasparenza della supply chain, soprattutto in settori critici come elettronica e farmaceutica. Un report PwC del 2024 conferma questa visione, rilevando che la regionalizzazione e le iniziative di localizzazione possono portare benefici significativi: L’82% delle aziende ha riportato un miglioramento della resilienza e il 77% una riduzione dei costi.

Un altro potenziale vantaggio riguarda la rivitalizzazione di settori industriali poco sviluppati e il rafforzamento della sovranità tecnologica. Politiche protezionistiche, come gli incentivi fiscali previsti dal Net-Zero Industry Act, mirano ad accelerare la produzione di tecnologie Green, ridurre la dipendenza dalle importazioni e creare occupazione qualificata. Come osserva Hauke Engel, esperto di supply chain presso McKinsey, “Il protezionismo mirato, combinato con investimenti strategici, può trasformare le vulnerabilità in vantaggi competitivi.”

Tuttavia, questi potenziali benefici devono essere bilanciati con le ricadute economiche e le pressioni competitive che potrebbero emergere. Le misure restrittive, come i dazi su materie prime importate o l'obbligo di approvvigionarsi localmente, possono costringere le imprese a rivolgersi a fornitori nazionali più costosi, aumentando così i costi operativi e riducendo la competitività sui mercati internazionali. A tal proposito, Lakshmi Mittal, Presidente Esecutivo di ArcelorMittal, ha sottolineato come i produttori di acciaio europei affrontino costi di produzione significativamente più elevati rispetto ai concorrenti asiatici, un risultato dovuto principalmente ai rigorosi requisiti di localizzazione volti a migliorare la resilienza climatica e la sostenibilità nella regione. Queste pressioni sui costi sollevano interrogativi sulla capacità dei produttori europei di rimanere competitivi a livello globale, specialmente nei settori ad alta sensibilità al prezzo, dove le politiche commerciali internazionali non sono uniformi né universalmente applicate.

Oltre ai costi, il protezionismo può anche provocare barriere commerciali di ritorsione da parte dei partner, destabilizzando ulteriormente le reti di fornitura. Le recenti restrizioni della Cina sulle esportazioni di Terre rare, estese non solo agli Stati Uniti ma anche all’UE, come risposta ai sussidi tecnologici europei, illustrano come le misure ritorsive possano ostacolare l’accesso a materiali essenziali per l’energia green e l’elettronica. Queste sfide si aggiungono ad altri svantaggi, tra cui la riduzione della diversità dei fornitori, il rallentamento dell’adozione delle migliori pratiche globali e il deterioramento delle relazioni diplomatiche.


Il delicato equilibrio tra protezionismo e integrazione commerciale

Questo scenario sottolinea il delicato equilibrio che i regolatori europei devono mantenere tra protezionismo e integrazione commerciale globale. Interventi mirati possono certamente proteggere le supply chain critiche, ma politiche eccessivamente aggressive rischiano di generare inefficienze, aumentare i costi produttivi e scatenare reazioni negative dai partner commerciali. Una strategia calibrata e graduale, concentrandosi inizialmente su settori ad alto rischio come semiconduttori e tecnologie green, appare la via più pragmatica, permettendo di rafforzare la resilienza senza compromettere l’apertura dei mercati. Tuttavia, l'interconnessione delle supply chain moderne rende difficile un’applicazione selettiva netta, sollevando una questione chiave: l’UE dovrebbe pertanto adottare salvaguardie graduali e settoriali per evitare disordini economici, altrimenti anche il protezionismo più ben intenzionato rischia di frammentare ulteriormente i sistemi globali che cerca di proteggere e stabilizzare.

 


Competenze per la supply chain del futuro

In un contesto in rapida evoluzione, segnato da protezionismo, supply chain regionalizzate e dinamiche commerciali globali in cambiamento, i professionisti della supply chain devono dotarsi di competenze avanzate e proiettate al futuro. Le certificazioni globalmente riconosciute di APICS, come CSCP, CLTD e CTSC, ti permettono di padroneggiare strategie di supply chain end-to-end, affrontare le sfide della localizzazione e costruire resilienza in un mondo sempre più frammentato. Preparati a guidare la prossima generazione di trasformazioni nella supply chain. Iscrivendoti ai nostri corsi, avrai l’opportunità di apprendere dai leader del settore, approfondire le tue conoscenze e ampliare il tuo network professionale. Inoltre, otterrai certificazioni riconosciute a livello globale che valorizzeranno la tua expertise, tracciando il percorso verso una carriera di successo nella gestione della supply chain.

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Bibliografia

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